L’ostracismo e la fobia antirussa
Intervento di Dino Greco alla base militare di Ghedi (6 marzo 2022)
Vorrei affrontare il tema, apparentemente minore, degli effetti, collaterali della guerra. O, per meglio dire, della guerra condotta con altri mezzi non meno letali.
Diamo un’occhiata a quello che sta accadendo.
La rettora dell’università Bicocca sospende il corso di Paolo Nori su Fëdor Dostoevskij, patrimonio della letteratura universale, in quanto russo, per poi riammetterlo a condizione che si parli anche di autori ucraini; a Londra, alla London Book Fair 2022, non ci sarà un padiglione russo; lo stesso alla Buchmesse, la fiera di Francoforte. Così tutte le grandi fiere annunciano il bando degli autori russi.
Lo stesso accade al festival dell’editoria per bambini di Bologna, la manifestazione più importante nel mondo per la letteratura dell’infanzia, da cui è stato escluso il padiglione di Mosca.
“Boicottaggio totale dei libri russi nel mondo!” si intitola un appello lanciato dallo Ukrainian Book Institute, dal Lviv International Book Forum, in cui si legge fra l’altro che la propaganda russa “è intessuta in molti libri e anzi li trasforma in armi e pretesti per la guerra”.
In un colpo solo, si spazza via la convinzione che “un libro non deve conoscere confini, che non è un’arma di distruzione, ma uno strumento per la conoscenza”.
Dice Leonardo Fredduzzi, vicedirettore dell’Istituto di lingua e letteratura russa, che ha sede a Roma: “Ci sono arrivati messaggi d’odio, ci hanno scritto che la lingua russa è morta, che tutta la cultura russa esprime sopraffazione, anche i grandi classici”.
Così, il maestro Valery Gergiev viene licenziato dalla Filarmonica di Monaco e anche La Scala sospende la rappresentazione della ‘La dama di picche’ di Pëtr Il’ič Čajkovskij.
Un effetto domino inarrestabile colpisce anche la soprano russa Anna Netrebko, che non calcherà il palco del Piermarini di Matelica, nelle Marche.
La stessa cosa accade nello sport, un altro luogo dell’universalismo e della fratellanza fra i popoli
C’è la vergognosa esclusione degli atleti russi e bielorussi dalle Paralimpiadi, dopo la pusillanime retromarcia di Andrew Parsons, Presidente del Comitato Paralimpico Internazionale che prima aveva detto: “Gli atleti che sono nati in quella nazione, non sono gli aggressori. Penso che dobbiamo trattarli con lo stesso rispetto degli atleti di qualsiasi altra nazione che si sono guadagnati la qualificazione”.
Sono colpiti tennisti russi, improvvisamente fatti diventare apolidi, perché la bandiera russa non deve comparire accanto al loro nome;
Qualche atleta decide di non scendere in campo, sul ring o in pista, con un atleta russo o russa solo perché russo o russa – magari anche anti-putiniani o anti-putiniana.
Una strategia quasi bellica, perché in guerra, appunto, tutto diventa lecito.
Ascoltate la riflessione di un noto giornalista sportivo, Mario Sconcerti, che dice “Mi piacerebbe essere contro l’invasione dell’Ucraina pensando sempre e soltanto con i miei consueti canoni di giudizio, senza portare la mente all’ammasso. Se ho un amico russo, che faccio? Non devo vederlo più? E perché, perché è russo? Questa è discriminazione, non lotta democratica. Cerchiamo di distinguere tra le persone e le cose, anche adesso che il mondo ci sta sfuggendo di mano”.
La Russofobia viene metodicamente coltivata
Si ribella persino un giornalista de Il Mattino e de Il Messaggero come Marco Ciriello che afferma: “Ho sempre detestato Putin, fin dall’inizio, l’invasione russa mi ripugna, eppure sono stanco di doverlo specificare per avere il diritto di sviluppare un ragionamento. Ragionamento che riguarda persino la specificità dello sport, “in questo clima maccartista”, in cui “appena provi ad articolare un pensiero sulla Russia diventi filo-putiniano”: bisogna aderire, stare con l’Ucraina, scrivere le poesie sull’Ucraina, mettere cuori e bandiere. Io sono sciasciano, come sono tolstojano e salgariano e molte altre cose, e mi viene difficile aderire pure ai club, come all’imperialismo – sia della Nato che della Russia».
Ciriello prosegue sui provvedimenti presi dalle Federazioni sportive, tesi a cancellare l’altro, a farlo scomparire in una sorta di ostracismo misto a damnatio memoriae. E pone anche il tema del ruolo dello sport che – dice – “dovrebbe rimanere uno spazio “altro” dove si continua a provare il dialogo, dove il verbo è giocare, anche in luogo del più acceso lottare. Dove gli atleti sono come gli ambasciatori e le squadre e le federazioni sportive sono ambasciate. E che il paese che è andato a giocare e vincere una Davis in Cile non trovi voci a levarsi in difesa del mondo dello sport russo, è vigliacco prima che stupido”.
Invece, mentre le bombe cadono, i patiboli si moltiplicano. E non sappiamo se nella carneficina qualcuno si salverà. Perché quando tu costruisci un paradigma infame per cui tu sei il bene e l’altro il male assoluto vuol dire che ti stai già preparando psicologicamente ad assumere un abito mentale propenso a giustificare la guerra totale, la guerra di annientamento. E vale la pena di ricordarlo qui, davanti ad una base militare che ospita ordigni nucleari pronti all’uso sui quali noi, il popolo italiano, non abbiamo alcuna giurisdizione, perché altri hanno il dito sul grilletto.
Bisogna sapere o meglio, riscoprire, che quando si scoperchia il vaso di pandora diventa impossibile ricacciarvi dentro i mostri che ne sono usciti. E allora, finché c’è tempo, bisogna fare l’esatto contrario: riaprire le menti e riguadagnare la fondamentale verità che questa guerra, sporca come ogni altra, non può essere vinta da nessuno, ma la si può solo perdere.
“L’Italia ripudia la guerra” sta scritto nella Costituzione antibellicista sorta sulle macerie della fino ad ora più grande guerra di sterminio che l’umanità abbia conosciuto. Ma nel momento in cui si decide di inviare armi a un paese belligerante è ovvio che si entra a far parte dei paesi in guerra. Allora è tempo di insorgere contro tutto il ciarpame ipocrita e sostanzialmente guerrafondaio nel quale siamo immersi.
Voglio concludere con le parole con le quali Tonio Dall’Olio, direttore della rivista Mosaico di pace risponde a quanti oggi trepidano perché ci si metta l’elmetto in testa per andare alla guerra:
“Sì, diserto. Dalla scelta governativa di dire che la guerra è sbagliata e, per questo si combatte la guerra con la guerra. Diserto dall’accoglienza selettiva di persone che scappano dalla fame della guerra e dalla guerra della fame quasi a indicare che il luogo di provenienza faccia la differenza. Sì, da questo razzismo non dichiarato ma praticato – eccome! – diserto. Diserto dall’annegamento nelle informazioni di un solo conflitto mentre si condannano al silenzio le guerre dei poveri. Diserto la dislessia che pare affliggere alcuni cristiani di fronte alle pagine del Vangelo che parlano di amore dei nemici, di spade da rimettere nel fodero e di “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”. Diserto la retorica di certe manifestazioni che scelgono di non disturbare il manovratore, di dire e non dire, di applaudire il Papa scegliendo di fare esattamente il contrario e di essere buoni per tutte le stagioni. Diserto dall’arruolamento obbligatorio nel partito del realismo presunto che condanna ogni azzardo fuori dal perimetro del perbenismo. Diserto la logica dell’applauso prima di tutto, del consenso a tutti i costi, del comandamento di non compromettere la carriera. Diserto, e per questo so di essere condannato con i senzapotere all’infamia delle pecore nere o delle mosche bianche mentre sono gli altri a rinnegare i colori dell’arcobaleno”.