Cultura e democrazia
Stefania Brai*
Giorni fa abbiamo voluto ricordare Gianni Ferrara con una sua bellissima relazione ad un convegno della rivista gulliver su “Cultura e democrazia”. Era il 2005, erano gli anni del tentativo di imporre una Costituzione europea che avrebbe mortificato le Costituzioni di ciascun paese, tentativo fallito grazie all’opposizione del popolo francese.
Diceva Ferrara allora: “Non propizi, i tempi nostri, alla cultura ed alle arti… perché alla desertificazione delle idee, dei progetti, delle aspirazioni, delle sensibilità, dei gusti, delle visioni del mondo, ha sostituito quel che è stato chiamato motivatamente ‘pensiero unico’, e, se ora non più unico, certo dominante. Si badi bene alla contraddizione insita in questa denominazione pur giusta. Giusta perché denota una semplificazione abnorme ma reale, quella della degradazione della cultura ad una sola ed escludente espressione, o, in quanto dominante, mutilante miliardi di altre. Come se si potesse operare una mutazione della identità umana, riducendo, comprimendo la qualità che la distingue dalle altre specie viventi, sezionandola e poi dissipandola. Qualità che proprio perché individuante l’umano, può solo essere plurale, multipla, corale, estesa, inclusiva….”. e più avanti, nelle conclusioni : “Piena ed integra, quindi, è tornata ad essere, con tutte le altre Costituzioni d’Europa, la Costituzione della nostra Repubblica, torna alla piena ed integra efficacia il suo articolo 9 secondo cui ‘La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica’. Un enunciato limpido, di alta civiltà giuridica e politica perché impone un obbligo agli organi della nostra Repubblica, ai suoi governanti. Un obbligo netto, univoco: quello di sottrarre la cultura, la ricerca alla forma di merce, di liberarla dal dominio del profitto, dalla subordinazione ai dettami del mercato capitalistico. Quest’obbligo spetta a noi farlo valere…”.
Sono passati più di quindici anni da quel convegno e da quella relazione, ma potrebbe essere stata scritta oggi. Oggi che il governo Draghi – così come l’epidemia – ha messo in luce, anzi portato all’esasperazione, l’evidenza di un appiattimento sociale, politico e culturale su un pensiero unico dominante; oggi che la storia viene riscritta dai “vincitori” senza nessuna apparente o visibile contronarrazione, oggi che l’informazione sembra esprimersi con una sola voce, oggi che dilaga un immaginario falsificato e falsificante.
E allora spetta a noi. Spetta a noi riflettere finalmente sul ruolo della cultura perché una democrazia possa dirsi realmente tale, e spetta a noi tornare finalmente ad affrontare il nodo del ruolo che deve avere lo Stato nella società che vogliamo costruire. E il ruolo dello Stato nella cultura e negli apparati di produzione di senso.
Se è quello che è realmente in gioco su questo terreno, come è vero, che l’espressione e la circolazione delle idee sono il fondamento d’ogni conoscenza e coscienza critica della realtà e dunque d’ogni possibilità e diritto di scelta dei cittadini e se è vero, come è vero, che l’immensa proposta culturale e mediatica oggi vincente favorisce un senso comune fatto di adeguamento all’esistente e di sostanziale passività, allora va riaffermato con forza che la cultura è un diritto, una necessità, un “servizio essenziale” non contrattabile, non monetizzabile, non cedibile che, come dice la Costituzione, la Repubblica deve garantire e che solo la Repubblica può garantire. E che le uniche forme concepibili di intervento dei privati in questo settore sono quelle che conservano e riservano alla Repubblica la promozione di quel “pieno sviluppo della persona umana” che la nostra Costituzione pone tra i suoi fondamenti.
Un nuovo immaginario non nascerà da solo o per volontà di qualcuno, una informazione diversa e plurale non nascerà da sola o per volontà di qualcuno. Nessuno, con un semplice atto di volontà, riuscirà a contrastare e capovolgere il racconto mistificato e mistificante della nostra storia.
Non nasceranno – non possono nascere – nuovi immaginari senza una profonda e radicale riforma del servizio pubblico radiotelevisivo, senza un grande progetto culturale che riporti la più grande azienda pubblica produttrice di senso fuori dal controllo del governo e la liberi “dalla subordinazione ai dettami del mercato”. Un progetto che riaffermi il ruolo “pubblico” della Rai portandola ad essere volano di tutta l’industria culturale del nostro paese: un’azienda democratizzata e democratica, gestita dalle forze sociali, professionali e culturali, decentrata e partecipata, radicata sui territori, che possa dare vita, voce e volto alla produzione culturale ed artistica indipendente diffusa su tutto il territorio nazionale; un’azienda plurale e pluralistica nella sua offerta culturale complessiva. Un servizio pubblico radiotelevisivo dove possa avere voce quel mondo immenso e diffuso che col suo lavoro creativo ed artistico contribuisce a far crescere i saperi e la conoscenza, a combattere la passivizzazione e la solitudine.
Non nasceranno nuovi immaginari senza riforme strutturali nei settori della produzione e diffusione della cultura che riaffermino il ruolo e il dovere fondamentale dello Stato nel favorire e promuovere la ricerca e la sperimentazione, la possibilità stessa di una produzione indipendente e plurale liberata dai meccanismi e dalle logiche del mercato. Riforme strutturali che riaffermino il ruolo e il dovere dello Stato nel ricercare l’utile culturale e dunque sociale della produzione artistica, a prescindere da qualunque utile economico. Politiche economiche che consentano ai giovani e a chi ha basso reddito di accedere ad una sala cinematografica, ad un concerto, ad uno spettacolo teatrale, ad un museo, alla lettura dei libri. Politiche che diano allo Stato, in tutte le sue articolazioni, il ruolo e il dovere di difendere, proteggere e ancora di più di sostenere tutti i luoghi di diffusione e fruizione della cultura; che portino la produzione culturale nelle scuole e le scuole nei luoghi di produzione culturale.
E riforme strutturali che riconoscano che quello nella cultura è lavoro a tutti gli effetti, che gli artisti e tutto coloro che lavorano nei settori creativi, dagli scrittori agli orchestrali, dai registi agli sceneggiatori, dai musicisti ai tecnici e alle maestranze, sono lavoratori che devono poter vivere della propria professione ed essere tutelati nei loro diritti come tutti gli altri: diritti del lavoro, diritti di accesso alla formazione.
Una informazione plurale non potrà nascere senza una riforma che rimetta di nuovo al centro il ruolo dell’intervento pubblico nel sostenere un’editoria indipendente, giornali cooperativi e di partito, riviste culturali e dell’associazionismo che altrimenti non potranno mai vedere la luce. Una riforma che detti ferree regole in una normativa antitrust, verticale e orizzontale, che impedisca da un lato la formazione di posizioni dominanti (e non solo l’abuso di esse, come prevedono le attuali leggi) e dall’altro la concentrazione nelle stesse mani della produzione e/o distribuzione di diversi mezzi di comunicazione.
E allora spetta a noi. Spetta a tutti noi rivendicare con forza il ruolo centrale dello Stato per garantire la possibilità di “tanti immaginari”, di tante culture diverse, dei tanti punti di vista sottraendoli alla logica del profitto. Spetta a noi batterci perché la cultura non sia considerata – anche a sinistra – tempo libero, un “ininfluente” per la battaglia per una democrazia reale, un “in più” e un “lusso” che non interessa le classi lavoratrici. Non a caso nel 1912 durante lo sciopero di Lawrence delle fabbriche tessili furono le operaie a chiedere “il pane e le rose”, riprendendo la frase della leader femminista e socialista Rose Schneiderman: «Ciò che la donna che lavora vuole è il diritto di vivere, non semplicemente di esistere – il diritto alla vita così come ce l’ha la donna ricca, al sole e alla musica e all’arte. Voi non avete niente che anche l’operaia più umile non abbia il diritto di avere. L’operaia deve avere il pane, ma deve avere anche le rose”.
Adesso spetta a noi.
* responsabile nazionale cultura Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra europea